La guerra tra ricerca qualitativa e quantitativa in medicina
Qualitative studies help us understand why promising clinical interventions do not always work in the real world, how patients experience care, and how practitioners think. They also explore and explain the complex relations between the healthcare system and the outside world, such as the sociopolitical context in which healthcare is regulated, funded, and provided, and the ways in which clinicians and regulators interact with industry
Articolo di Francesca Memini su Raccontare la Salute
Il senso comune, nella nostra cultura almeno, tende a identificare i numeri con i fatti, con la Verità, se un’affermazione è corredata da “numeri” acquisisce maggiore credibilità, anche se questi numeri sono buttati lì a caso, senza la premura di verificare le fonti e la credibilità della ricerca cui si fa riferimento.
I media e i social media offrono fantastici esempi di “numeri” che assumono lo statuto di verità incontestabili ovvero di leggende metropolitane.
“L’efficacia comunicativa del linguaggio verbale è limitata al 7% contro il 93% del non verbale”: quante volte l’abbiamo letto, sentito dire, ripetere e insegnare nei corsi di comunicazione? Un’amica, ricercatrice in linguistica, mi diceva che, stufa di sentire ripetere questa verità “provata”, ha è risalita alla ricerca cui fa riferimento, uno studio del 1972 (Mehrabian, 1972) la cui interpretazione “mitologizzata” (strumentalizzata?) è stata sconfessata dal suo stesso autore, che scrive: “Vi prego di notare che questa e altre equazioni riguardanti l’importanza dei messaggi verbali e non verbali sono state ricavate da esperimenti che si occupano della comunicazione di sentimenti e atteggiamenti (ad esempio, simpatia-antipatia). A meno che un comunicatore non stia parlando dei suoi sentimenti e atteggiamenti, queste equazioni non sono applicabili”.
Quanti di voi hanno fatto lo stesso percorso di ricerca e verifica su questi dati? Io personalmente, non l’avevo mai fatto. E bastava davvero poco: la citazione sopra è presa da Wikipedia. Certo Wikipedia non è sicuramente la fonte più accreditata, ma un punto di partenza per approfondire ulteriormente, verificando la letteratura scientifica più recente. Di certo, valutare questi numeri e questa interpretazione come una “certezza matematica” rivela una certa superficialità. Anche perché quando parliamo di certezza matematica parliamo di tutt’altra cosa (epistemologicamente).
Ma fin qui stiamo parlando di senso comune. Questa irrazionale fiducia nei numeri non appartiene alla comunità scientifica, più consapevole dei bias cognitivi, attenta all’applicazione del metodo scientifico e capace di interpretare il significato dei numeri.
Ricerca quantitativa e qualitativa: la posizione del British Medical Journal
Il 10 febbraio scorso è comparsa sul BMJ una lettera aperta, firmata da 76 ricercatori universitari, che invitava l’editore a riconsiderare la policy rispetto alla pubblicazione di ricerche qualitative, spesso rifiutate in quanto “low priority”.
Ne è scaturito un pungente botta-e-risposta sul giornale e un animato dibattito su Twitter, con l’hashtag #BMJnoqual con cui si rivendica l’importanza e il valore della ricerca qualitativa in medicina.
“Qualitative studies help us understand why promising clinical interventions do not always work in the real world, how patients experience care, and how practitioners think. They also explore and explain the complex relations between the healthcare system and the outside world, such as the sociopolitical context in which healthcare is regulated, funded, and provided, and the ways in which clinicians and regulators interact with industry.”
Vi lascio il compito di andarvi a leggere nel dettaglio la lettera e la risposta del BMJ . In generale si potrebbe semplificare tale risposta con “questa è la nostra linea editoriale, se non vi va bene ci sono altri giornali”; anche se passi controversi (per esempio questo: In general, our aim is to publish studies with more definitive—not exploratory—research questions that are relevant to an international audience and that are most likely to change clinical practice and help doctors make better decisions.) hanno spostato il tema sul piano epistemologico.
Tra le varie risposte rapide, cito solo quella della Greenhalgh, portavoce di questo movimento, perché mi ha fatto sorridere: