Medici e pazienti, dove nasce il conflitto

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Molti oggi si chiedono se vi sia un altro “teatro della cura”, dove sia possibile il dialogo medico-paziente, con uno scambio e un ascolto. Ma per scoprire nuove risorse e attivarle, scrive Tiziana Amori è necessario introdurre un’altra retorica della cura, un diverso ordine simbolico, un linguaggio e un lessico che siano in grado di dare una nuova struttura alla relazione medico-paziente.

Articolo di Tiziana Amori su OMNI

La cosa più stupida da dire a un malato è che lo si trova molto bene, che è una fissazione, che tutti stanno un po’ giù ecc. La cosa più triste, invece, è quando non te lo dicono più, anzi non sanno bene che dire. Solo i dottori trovano le parole per ingannarti, è questo che imparano all’università, e tu esci dallo studio sollevato ma appena arrivi all’ascensore ti rendi conto che sono balle a pagamento e fai la faccia di Bob Hope quando scopre uno scheletro nell’armadio: lo richiude subito come se niente fosse ma due minuti dopo urla per lo spavento….” (da “L’ultima estate” di Cesarina Vighy). Qualche frase da un romanzo, un lungo racconto di una persona, Z., gravemente malata: è un racconto allegro, sapiente, condotto quasi con leggerezza. Compaiono qua e là le parole dei medici, le terapie, i farmaci: compaiono, perché, ormai, sono necessari solo per contenere il dolore. I medici, in quel momento, fanno parte di coloro che ascoltano le tue parole oppure ti danno la loro voce per raccontarti o le loro mani per scrivere, perché il dolore è meno disperato se può essere narrato.

Cominciamo da qui: dal punto in cui anche il potere medico o l’egemonia medica, come la chiameremo più avanti, cessa, viene sospesa e comincia un’altra storia. In questo intervento, analizzeremo, seppure sinteticamente, la retorica della relazione medico-paziente e ne evidenzieremo i “pilastri”, le strutture portanti di quella che, ancora oggi, possiamo definire l’egemonia medica.

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