Christian Delorenzo, già traduttore di Medicina narrativa di Rita Charon (Cortina, 2019), è consulente letterario del Centre Hospitalier Intercommunal de Créteil e dottore di ricerca in medical humanities presso l’Université Paris-Est Créteil, dove insegna Medicina Narrativa agli studenti di medicina del terzo anno.
Dott. Delorenzo, questo libro è nato quasi come una rivendicazione, una necessità di dare voce al corpo malato. Oggi, invece, sembra quasi non si parli di altro. Quali sono le reali conquiste e quali invece i passaggi ancora da compiere nella narrazione della malattia?
Sicuramente, negli ultimi due anni, si è parlato molto della pandemia, che ci ha colpiti a tanti livelli: personale, sanitario, sociale, politico… Forse siamo stati sommersi dalla narrazione di questa specifica condizione.
Tuttavia, non esiste solo il Covid. Altre patologie sono passate sotto silenzio. Moltissimi interventi, per esempio, sono stati deprogrammati, nei momenti di crisi acuta. Il rischio secondario, ora, potrebbe essere quello di tapparsi le orecchie di fronte ad altre condizioni di sofferenza fisica (e non solo fisica).
La ripresa del libro di Frank mi sembra necessaria oggi anche per questo. Ci ricorda che la narrazione della malattia va ascoltata. Sempre. Ma servono strumenti e dispositivi, come quelli che Il narratore ferito fornisce, per poter prestare davvero orecchio al corpo che soffre, e che soffrendo si racconta.
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