“Pinguini nel deserto”. Barriere e stigmi che incontrano i ragazzi con autismo o trisomia 21. Il libro
Sono due condizioni estremamente diverse, ma entrambe soggette a un’enorme quantità di stereotipi. Per gestire lo stigma le famiglie le normalizzano o le spiegano medicalizzando, rendendo così difficile ai figli il dare una definizione di sé (e immaginarsi nella vita adulta).
Da un lato la trisomia 21, o sindrome di Down, una condizione evidente che può essere diagnosticata già durante la gravidanza, quando è il risultato di un test a mettere di fronte a una scelta: portarla a termine o interromperla, sapendo che la prima strada porterà con sé il giudizio da parte di molti. Dall’altro l’autismo, a volte invisibile, il cui percorso diagnostico può durare anni e per il quale la risposta definitiva arriva come un sollievo, una spiegazione, accanto a una certezza che per molti genitori è amara: autistici si nasce e si resta, e laddove il bisogno di supporto sia elevato, qualcuno dovrà prendersi cura del loro figlio o figlia quando loro non potranno più farlo.
Seppur differenti da infiniti punti di vista, trisomia 21 e autismo sono accomunati da un’enorme quantità di stereotipi. Le persone con sindrome di Down sono infantilizzate: raccontate come asessuate, eterni bambini affettuosi e docili che amano la musica. Sul fronte opposto le persone nello spettro sono legate all’idea dell’autistico genio, maschio, a volte aggressivo, incapace di avere rapporti sociali adeguati. Ed è proprio sulle similitudini, e sulle conseguenze che lo stigma ha sui diretti interessati, che si basa lo studio raccontato nel libro Pinguini nel deserto. Strategie di resistenza allo stigma da Autismo e Trisomia 21 (il Mulino 2021, 168 pagine, 16 €) di Alice Scavarda, assegnista di ricerca e docente di sociologia generale e sociologia della salute all’Università di Torino.
Nel suo lavoro di ricerca, Scavarda ha messo insieme interviste alle famiglie e due periodi di osservazione sul campo che ha trascorso affiancando due nuclei familiari nella loro vita quotidiana. Dalle visite mediche alle occasioni sociali, dalle conversazioni tra genitori e figli o tra genitori e amici, è emerso che manca un linguaggio specifico per parlare di disabilità (a partire dai modi spesso inadeguati con i quali viene comunicata una diagnosi), e che madri e padri usano strategie di resistenza allo stigma per raccontare i propri figli.