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Sto guarendo, dicono, da un male raro. E in ospedale ho trovato una Madre Regina

«Allora, cosa abbiamo di bello?». «Ho un tumore». «Per forza, se sei qua… Che tipo di tumore?». «Molto raro: un angiosarcoma»

cf

 

Articolo di Paolo Colonnello su La Stampa

«Stava nel grasso della mia pancia, pensavo fosse una ciste…». «Ah sì, ma qua se non sono speciali non li vogliamo. Forza, qual è la vena più bella?».

Oggi ho ricominciato con le chemio e ho conosciuto «la Madre Regina»: una donna massiccia capace di sganassoni e languide carezze, probabilmente. La Madre Regina si chiama Roberta e regna sovrana nella mia stanza per circa 1500 euro al mese, dipende dagli straordinari e dai riposi saltati. È un’infermiera del reparto «rari e stravaganti», come lo chiamo io, una perla di anarchia in un luogo, l’Istituto dei Tumori a Milano, dove a ogni parte del corpo corrisponde una patologia e un reparto, un protocollo e una cura precisa: qui no, si sta sul vago.

I protocolli per i «rari e stravaganti» si devono inventare ad hoc e non sempre si seguono fino in fondo perché la bestia dove ti becca ti becca e lo può fare in milioni di modi: con cellule rotonde, esagonali, aggressive, tenui, informi. Se ne frega dei protocolli. «Tumori rari e mesenchimali dell’adulto» c’è scritto all’ingresso. La canaglia colpisce dove vuole e ci lascia tutti atterriti. Gli «stravaganti», ovviamente, sono i pazienti ma anche i medici e il personale. I «rari», sono i tumori. La Madre Regina comunque sa sempre come rimetterti a posto: «Siamo tutti rari, perché nessuno è uguale all’altro. Oh, va che io la so lunga perché in famiglia siamo tutti tumorati. Chi ti credi d’essere?».

La Madre Regina si è autoproclamata tale dopo il divorzio e i tre figli a carico che mi ha mostrato orgogliosissima: il più grande, un diciottenne, porta il 46 e mezzo di scarpe, e ho detto tutto. Mi ha accordato molta fiducia, spedendomi da solo a fare lastre ed elettrocardiogrammi in giro per l’ospedale. «Oh, va che se non torni, attivo il bracciale con il microchip! Si scatena l’inferno!». Si difende con dei tatuaggi e un distacco professionale che durano di solito lo spazio di un minuto. Le barriere cedono in fretta qua dentro e lei si apre con piacere. La Madre Regina mentre mi prova la pressione e dichiara che ho dei valori da mezza pippa, improvvisamente diventa seria: «Lo vuoi vedere un libro fatto qua dentro?». Ma certo. Corre a prenderlo, è un libro fotografico e s’intitola «I live», io vivo, lo ha scritto e fotografato un ragazzo di 25 anni che aveva un tumore, ovviamente rarissimo, alla testa. German Lissidini, era biondo e bellissimo e mi rendo conto che abitava nel mio quartiere, che frequentava il campo sportivo dei miei figli e le loro stesse scuole. Ha combattuto un anno e mezzo, poi non ce l’ha fatta.  continua a leggere