Racconta la tua cicatrice, la sfida dei ragazzi malati: l’arte per ripartire
Giuditta Gilli Ravalli ha trasformato in opere i bozzetti dei ragazzi B. Liver, affetti da patologie gravi e croniche, che hanno coinvolto persone, aziende e Fondazioni. L’esposizione alla Triennale
Le cuffie nelle orecchie. La musica che va. La voce che ti guida: «Chiudi gli occhi: qual è la tua cicatrice?». Spiazzante, la domanda. Poi la voce si esaurisce e inizia il tempo per pensare. Riflettere innanzitutto su cos’è una cicatrice. Davanti, un foglio con le sagome disegnate delle statue del David di Michelangelo e della Venere di Milo. Sagome da colorare con matite, pennarelli, gessetti e su cui rappresentare la propria cicatrice. Si scopre così che le nostre fragilità possono diventare anche qualcosa di positivo. A un più o meno simile esercizio, non privo di emozioni, sono stati chiamati alcuni gruppi di dipendenti, dai cassieri ai manager, di tre aziende (Barilla, Esselunga e Janssen), e di persone di Fondazione di Comunità Milano e Fondazione Malattie del sangue onlus. E anche di B. Liver (essere, credere, vivere), ragazzi affetti da patologie gravi e croniche, che nella fondazione Il Bullone (cui ha dato vita Bill Niada con la moglie Emilia dopo aver perso a causa di una malattia la figlia Clementina) trovano la via, attraverso progetti e collaborazioni professionalizzanti, per guardare al futuro, svagarsi rispetto al percorso di cura e come supporto nel periodo di uscita dalla malattia.
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