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Medicina Narrativa nelle Epilessie: un articolo su Epilepsy&Behavior

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Pubblicato sulla prestigiosa rivista Epilepsy & Behavior l’articolo “Digital narrative medicine for the personalization of epilepsy care pathways” di Cristina Cenci e Oriano Mecarelli. Al centro il progetto EPIMENA condotto, attraverso la piattaforma DNMLAB.IT, presso il Policlinico Umberto I della Sapienza Università di Roma. Abbiamo intervistato il responsabile scientifico dello studio e coautore dell’articolo, il prof. Mecarelli, per parlare di questo importante e significativo traguardo.

 

Intervista a cura di Alessandro Franceschini

Il professor Oriano Mecarelli si è sempre occupato per quanto riguarda la sua vita professionale (sia in ambito clinico che di ricerca e didattica) di diagnosi e cura delle epilessie e di elettroencefalografia, presso l’Università Sapienza ed il Policlinico Umberto I di Roma. Da circa 20 anni ricopre inoltre incarichi dirigenziali in LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia, Società Scientifica dedicata alle Epilessie cui aderiscono circa 1000 professionisti che operano su tutto il territorio nazionale), della quale dal 2017 è Presidente.

 

L’epilessia è una malattia complessa, rispetto alla quale la cura deve necessariamente tenere conto di molteplici aspetti. Come è possibile rendere più appropriato il trattamento di questa patologia?

Quando si parla di Epilessia ci si riferisce ad una serie numerosa di forme, tutte caratterizzate dal sintomo “crisi epilettica” ma diverse per quanto riguarda l’età di insorgenza, la possibilità di controllo delle crisi stesse con le terapie farmacologiche, le comorbidità, etc. Inoltre, l’epilessia è una patologia neurologica cronica che di per sé costituisce uno stigma che si esprime sia a livello individuale che sociale, con problematiche psico-sociali che di frequente inducono nella persona con epilessia più sofferenza della malattia stessa. Sulla base di questa premessa è evidente che la cura dell’epilessia non può essere effettuata soltanto prendendo in considerazione l’aspetto neurologico, ma per aver successo essa deve prevedere un approccio individuale e multidisciplinare, che consenta di valutare il singolo paziente nella sua interezza, come persona e non come semplice malato.

 

Alla luce della sua esperienza, qual è il contributo che la medicina narrativa può offrire nel percorso clinico e assistenziale delle persone con epilessia?

La medicina narrativa può aiutare a realizzare un percorso di cura il più possibile completo e personalizzato e l’epilessia tra le patologie del corpo umano è senz’altro una di quelle che più si adatta ad essere affrontata con questa metodica.  Innanzitutto è l’epilettologo che necessita di aprirsi ad altre modalità di approccio al paziente, utili sia a livello diagnostico che terapeutico. La medicina narrativa, nelle sue diverse applicazioni, può aiutare il medico a conoscere meglio la persona che ha davanti, migliorando la capacità di ascolto e favorendo il crearsi di un rapporto maggiormente empatico. D’altra parte, se il paziente si sentirà più libero di esprimersi, racconterà con maggiori particolari il proprio disturbo, e questo si tradurrà automaticamente in un miglioramento del processo di cura. Nell’epilessia – come forse in nessun’altra patologia – la “parola” riveste un’importanza fondamentale: è sulla base degli eventi raccontati durante l’anamnesi che il neurologo poggia le prime basi dell’ipotesi diagnostica; i sintomi così come sono “raccontati” dal paziente sono estremamente utili per porre la diagnosi differenziale tra crisi epilettica e episodi accessuali di altra origine; posta la diagnosi e iniziato il trattamento è sempre il “racconto” che costituisce il fondamento per valutare l’efficacia della terapia e gli effetti avversi dei farmaci; etc etc.

 

Può raccontarci un po’ più nel dettaglio qualcosa sul progetto EPIMENA condotto attraverso l’applicazione della medicina narrativa mediata dal digitale?

L’infrastruttura informatica della piattaforma DNMLAB.IT è stata fondamentale per condurre il progetto. Infatti, si tratta di un setting virtuale protetto, specificatamente pensato per la relazione medico-paziente e che ruota attorno ad una sorta di diario digitale, dove il paziente viene accompagnato a sviluppare la propria narrazione. Per fare questo, abbiamo presentato ai pazienti arruolati e invitati in piattaforma, una serie di input, degli “stimoli narrativi”, che hanno avuto il compito proprio di orientare la narrazione finalizzandola al monitoraggio esistenziale che a noi interessava. Io e i miei collaboratori, accedevamo in piattaforma quando lo ritenevamo più opportuno per leggere le storie dei pazienti, magari in vista della visita di controllo. È chiaro che lo sviluppo di una narrazione approfondita in un secondo momento attraverso il digitale, in aggiunta a quanto può avvenire nell’incontro faccia a faccia, è qualcosa di molto utile ed efficacie: il paziente, ad esempio, è più a suo agio ad aprirsi, visto che non dovrà parlare di sé stesso in un momento di particolare pressione (come può essere quello della visita medica), ma potrà comunque far sapere al suo curante cose importanti sul suo conto, compreso il resoconto di una crisi epilettica che si è verificata nel periodo che intercorre tra una visita di controllo e l’altra; per il curante, questo ambiente digitale, è ottimo per poter accedere alla narrazione quando si vuole, nel momento che si ritiene più opportuno e utile, senza dover necessariamente accogliere il racconto del paziente durante la visita in presenza, dove spesso il tempo che si ha a disposizione è poco e diventa quasi impossibile approfondire aspetti più complessi del vissuto del paziente, ma come già detto, altrettanto importanti ai fini delle cure.

 

L’utilizzo della piattaforma digitale ha agevolato la raccolta delle storie dei pazienti. Ma poi, come è stato possibile utilizzare concretamente queste narrazioni per personalizzare le cure?

Certo, un progetto di applicazione clinica della medicina narrativa non può fermarsi alla raccolta delle storie dei pazienti. Sicuramente è importantissimo il feedback da parte del medico nei confronti del paziente, che ad esempio può avvenire in occasione di un nuovo incontro di persona, oppure anche solo attraverso un messaggio in piattaforma. È essenziale che il medico faccia intendere al paziente che ha letto il suo diario e che ne terrà conto in qualche modo durante il percorso terapeutico (per aiutarsi nella diagnosi, per rendere più appropriato l’iter assistenziale, etc.). Questo dunque per fissare un primo punto, anche se abbastanza generico, riguardo l’uso che andrebbe fatto delle storie dei pazienti. Ma è chiaro che il discorso può diventare più articolato. La medicina narrativa permette di coniugare il piano clinico-assistenziale con il progetto esistenziale del paziente, e per far questo, nel nostro progetto, è stato fondamentale il lavoro in un team multidisciplinare. Abbiamo integrato nella piattaforma uno strumento ulteriore, la cosiddetta IDS-Illness Digital Storymap, che appunto rappresenta un modello interpretativo che ha lo scopo proprio di “tradurre” la storia del paziente rendendola fruibile ai fini clinici, attraverso competenze trasversali. A tal proposito, va sottolineato come hanno lavorato all’analisi delle storie anche un’antropologa e un filosofo. Tutto parte dall’uso di una metafora principale: nella malattia cronica, il viaggio con la malattia non è lineare ma circolare. Le diverse fasi si alternano a seconda del progetto di vita e dell’evoluzione della malattia stessa, e così abbiamo cercato di rileggere la storia del paziente individuando delle categorie esistenziali/esperienziali che secondo tre fasi principali (la fase attuale che il paziente si trova a vivere nel momento del racconto, il suo futuro atteso, e il verosimile obiettivo che è possibile prevedere nel suo caso specifico) permettono di chiarificare il vissuto personale del paziente in modo sintetico. Fatta un’analisi del genere, è stato molto più agevole concretizzare l’importante obiettivo della personalizzazione dell’intervento di cura.

 

Qual è il suo bilancio di questa esperienza? Quali i punti di forza e di debolezza per un progetto di applicazione clinica della medicina narrativa nel trattamento di persone con epilessia?

Il bilancio di questa esperienza dal mio punto di vista è senz’altro positivo. In generale, non è facile concretizzare l’applicazione clinica della medicina narrativa nella pratica clinica, ma in questo caso, nonostante tutto, sembra sia stato possibile farlo con risultati significativi. I pazienti necessitano di un canale di facile utilizzo, che costituisca un’interfaccia reale tra sé stessi ed il medico curante. In tempi di pandemia poi, abbiamo tutti compreso che il modello clinico-assistenziale tradizionale necessita di essere integrato e talvolta anche sostituito da altri sistemi di relazione medico-paziente, che si avvicinano molto alla telemedicina e che occorre in tempi rapidi implementare e soprattutto regolamentare. I punti di debolezza li identifico innanzitutto nella scarsa compliance che osservo tra i miei colleghi per quanto riguarda la medicina narrativa, nel senso che la maggior parte di essi continuano a considerare questa metodica “una perdita di tempo”, un approccio psico-sociale che non li riguarda. Siccome poi stiamo discutendo di una piattaforma digitale, va anche detto che non tutti i pazienti che soffrono di epilessia sono in grado di usufruire e di utilizzare correttamente certi strumenti e applicazioni tecnologiche. C’è quindi ancora molto da lavorare, sia sui medici che sui pazienti, per ragioni diverse a seconda dell’ambito.

 

Dal suo punto di vista, cosa rappresenta l’accoglienza e la pubblicazione dell’articolo relativo a questa esperienza in una rivista scientifica internazionale?

Debbo dire che non ci speravo molto… Ad oggi i paper sull’applicazione della Medicina Narrativa in Epilettologia sono molto pochi, e nessuno di essi deriva da esperienze italiane. Epilepsy & Behavior è una Rivista scientifica internazionale molto attenta agli aspetti psico-sociali e quindi rappresenta il target giusto; il nostro contributo d’altronde è stato criticato ed accettato in tempi rapidi e questo è gratificante e promettente. Speriamo che altri epilettologi, in Italia e nel mondo, leggano il paper e ne traggano spunto per intraprendere ulteriori studi nell’ambito specifico!

 

Vai all’articolo sul sito della rivista Epilepsy & Behavior