La competenza narrativa, dei curanti, è la “capacità di riconoscere, assorbire, interpretare e comprendere le storie degli altri”
I numeri sulla salute nel nuovo millennio hanno parlato chiaro: si vive più a lungo, si sta meglio, si fanno sempre più scoperte sulle malattie, anche quelle rare. Molte malattie, grazie a nuove cure, da mortali diventano croniche, anche quelle trasmissibili. Almeno in Europa, almeno fino al 2020, finché impattiamo violentemente in un virus che fa saltare il mondo, gli equilibri e le certezze. Ma, sia prima che dopo il Covid, è anche emersa una doppia consapevolezza: da un lato la medicina ha raggiunto straordinari traguardi, dall’altro la malattia resta una esperienza individuale, umana, non protocollabile, indissolubilmente associata alla storia delle singole persone.
Perché la narrazione nella pratica clinica? Sul “British Medical Journal”, alla fine degli anni ’90, Trisha Greenhalgh e Brian Hurwitz pubblicano “Dialogue and Discourse in Clinical Practice” e “Why study narrative?”: la medicina narrativa (MN) appare nella letteratura scientifica. I due medici parlano di malattia e di racconto, anche nell’insegnamento e nella pratica della medicina, dell’efficacia per affrontare aspetti esistenziali come il dolore interiore e morale che accompagna la malattia, per inquadrare il paziente, per sviluppare una comprensione che non può essere raggiunta con nessun altro mezzo, per considerare opzioni diagnostiche e terapeutiche che potrebbero essere ignorate, anche a rischio dei pazienti. Rita Charon è considerata la fondatrice della narrative medicine per le sue pubblicazioni e per avere attivato il corso alla Columbia University di NewYork, dove i futuri medici apprendono le competenze necessarie per ascoltare, per interpretare e rispondere ai pazienti con la relazione e non solo con i farmaci. Apprendono come la pratica medica, e più in generale dei curanti, richiede competenza narrativa, ossia capacità di riconoscere, assorbire, interpretare e comprendere le storie degli altri. E le opportunità della MN, che migliora la sensibilità alle storie di malattia; la capacità di attenzione insieme a pazienti e colleghi; la somministrazione di cure migliori e più efficaci.
Intanto, dal 2004, in Italia nasce il progetto NAME alla ASL di Firenze: la MN applicata in una Organizzazione sanitaria…
Continua a leggere l’articolo – Articolo pubblicato su Pediatria numero 9 – 2022, pag. 14-15