I diari delle rianimazioni. E una domanda impossibile: il Covid ha aperto un varco?
È in corso un mutamento culturale che richiederà tempo, ma che finirà per cambiare il paradigma della relazione, scrive Marina Sozzi, filosofa e studiosa di etica del fine vita, insistendo sul potere dell’intelligenza emotiva e del dialogo. Per curare sia i medici sia i pazienti
«Buongiorno signor Giovanni, mi chiamo Sergio e sono l’infermiere che si occupa di lei questa mattina. Le scrivo questo diario perché le sue condizioni hanno spinto i medici a somministrare dei sedativi… In altre parole lei si trova in coma farmacologico e quando si sveglierà (speriamo fra pochi giorni) non avrà memoria di quanto le è accaduto e di come avrà vissuto queste giornate. Così ho deciso di scrivere questo diario in cui le racconto quanto accade». Questa storia ci strappa via dal terribile racconto delle prime ondate di pandemia, è una boccata d’aria pulita, di respiro facile malgrado il coronavirus, perché parla di cura, di una dimensione della cura attenta alla persona malata, sempre, anche durante una pandemia mondiale.
Di storie come queste ne sono state raccontate tante, ma se ne è parlato troppo poco, e vale la pena ricordarlo, per testimoniare anche l’esistenza di una sanità italiana che sa cosa significhi curare, che ha rispetto per la dignità dei malati, che non perde la bussola nella difficoltà. Non si tratta di ritrovare l’ottimismo ingenuo della prima ondata di pandemia. Si tratta piuttosto di cercare di capire in quali direzioni il Covid-19, che è stato un forte acceleratore in molti ambiti (dalla digitalizzazione alla coesione europea), abbia aperto dei varchi per una nuova visione della cura. Il Covid è stato anche un’opportunità?
Partiamo da un’iniziativa straordinaria della Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN), che poco dopo l’inizio della pandemia ha dato avvio a un’esperienza che ha chiamato R-Esistere, coinvolgendo circa trenta enti in tutt’Italia, da Cittadinanza attiva a Slow Medicine, dalle associazioni dei pazienti ad alcune terapie intensive, dall’Istituto Superiore di Sanità ad alcune università. Le persone e gli operatori sono stati invitati a raccontarsi in prima persona. Il progetto ha così tentato di dare una risposta all’emergenza dal punto di vista di chi, attraverso le narrazioni, onora le storie di pazienti, familiari, cittadini, curanti.
R-Esistere è un luogo di racconto e di ascolto, in cui è possibile soffermarsi un po’ e riposarsi nella bufera. Mi sembra che sia stato particolarmente utile per coloro che si sono trovati a gestire le esperienze più ardue: operatori di area critica, medici rianimatori, infermieri di terapia intensiva.