“Il Narratore Ferito”: il bisogno di raccontare la malattia nell’opera di Arthur W. Frank curata da Christian Delorenzo
È un viaggio nelle narrazioni, quello compiuto dal sociologo canadese Arthur W. Frank nel momento in cui teme di non avere più tempo a causa di una sospetta recidiva del tumore che lo aveva colpito pochi anni prima. Il narratore ferito nasce così, come un’impellente necessità di riunire storie attorno alla malattia, dare voce al corpo e rendergli la sua dimensione essenziale, anche nel racconto.
Il saggio di Frank, uno tra i classici della medicina narrativa, crea un dialogo continuo tra moltissime storie, non senza l’obiettivo etico di una comunicazione che è capace di farsi comunione. “Le persone malate – sottolinea Frank citando Linda Garro – possono aiutare gli altri a capire quello che conta davvero”.
La malattia, dunque, per Frank non è più solo evento accidentale, negativo, da arginare. Ma soprattutto non è una condizione da censurare, qualcosa che viene vissuto esclusivamente in privato e in silenzio, come accadeva invece negli anni Novanta del secolo scorso, quando Il narratore ferito viene pubblicato in prima edizione.
La malattia, per Frank, è parte della storia, in alcuni casi addirittura “occasione”. Sicuramente, inevitabilmente, rappresenta un cambiamento. E non riguarda solo la “persona malata” (non più ridotta a semplice “paziente”), ma coinvolge e modifica anche la realtà circostante.
Frank è noto per aver costruito, nel Narratore ferito, tre schemi base – restituzione, caos e ricerca – per migliorare l’ascolto, l’attenzione nei confronti delle storie di malattia. Non si tratta di rigide categorie tassonomiche, e Frank non ha certo l’intenzione di effettuare un intervento uniformatore come quello della medicina modernista: “Nessun racconto si conforma esclusivamente a un unico modello, perché nella realtà le categorie si combinano e si avvicendano”. Inoltre “ogni modello riflette forti preferenze culturali e personali che costituiscono l’ennesimo ostacolo all’ascolto”. La consapevolezza dei limiti può aiutare a superare tali ostacoli.
La restituzione racconta la malattia nell’immaginario come condizione passeggera, un viaggio verso il successo in cui la morte viene tenuta a distanza, in cui il finale è un trionfo clinico, con la restituzione, per l’appunto, della salute, mentre protagonisti diventano medici e farmaci.
Il caos, la malattia muta, è il contrario della restituzione: si immagina che le cose non andranno mai meglio e vengono annientate le prospettive. Torna a galla tutto ciò che la modernità prova a lasciarsi alle spalle. Ma rifiutando una storia caotica, si rifiuta anche chi la racconta, afferma Frank, che invita a non trascendere il caos, ma ad accettarlo.
La ricerca, infine, tenta di dare voce a un corpo che vuole farsi comunicativo, nel senso di comunicare ed essere in comunione con gli altri. La malattia, in questo caso, diventa un viaggio, una scoperta nel territorio del senso.
Quando Frank pubblica Il narratore ferito per la prima volta è il 1995. Un’epoca in cui parlare di malattia è quasi un tabù, come si accennava sopra. Nel 2022, agli argini della pandemia, il racconto della malattia trova uno spazio molto diverso, ed è in questo momento che il libro di Frank viene pubblicato in Italia da Einaudi, in un’edizione a cura di Christian Delorenzo.
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