Storie di vita che restano dentro a noi che li accompagnamo
Storie di vita, storie condivise, storie che restano dentro a noi che li accompagniamo e che percorriamo con loro pochi momenti, ma spesso così intensi da lasciare un ricordo indelebile nelle nostre vite. Gianni, infermiere, ce ne racconta alcune.
Non ci rimane che il vostro/nostro spazio della medicina narrativa per parlare un po’ di noi.
Ho finito da pochi giorni la lettura di “Un altro giro di giostra” di Tiziano Terzani e “L’ultima lezione” di Randy Pausch. Entrambe le letture sono state molto commoventi ed interessanti ma mi hanno entrambe deluso. La terminalità delle persone normali, le persone come noi che hanno mutui, che hanno figli che si sposano, che fanno sacrifici e che con buona probabilità non si possono permette di prendere un appartamento a Manhattan per farsi curare in qualche centro specializzato di New York non viene raccontata. Quelli come noi, i soliti, quelli che Vasco racconta nelle sue canzoni, da chi vengono raccontati??
Proverò io a raccontare gli ultimi momenti delle loro vite.
Non ricordo tutti i pazienti che ho incontrato in hospice, mi vengono in mente dei frammenti, pezzi di storie, immagini…R. è entrato da noi tre anni fa. Era affetto da una neoplasia del capo: padre di due figli lavorava per una catena di distributori di bibite e alimenti vari. Ricordo la moglie: una donna piccola, magra fumava almeno 20 sigarette al giorno. R. è rimasto con noi per circa 25 giorni: aveva un grande desiderio…… poter tornare a casa con i suoi bambini. Non è stato possibile accontentarlo: la malattia l’aveva minato nel profondo e l’assistenza era troppo impegnativa per la famiglia per cui si è scelto di continuare in hospice. Una scelta che ancora oggi mi lascia l’amaro in bocca. Nella sua camera vi erano le foto dell’ultima vacanza sulla neve: momenti felici dove R. giocava con i figli rotolandosi con loro nella neve. Ha cercato sino alla fine di rimanere attivo: si spostava con la carrozzina, lo portavamo a fumare e poi lo mettevamo a letto. Il giorno che è morto ho preso in braccio il suo bimbo di sei anni e l’ho accompagnato giù nella saletta mortuaria e gli ho spiegato perché il suo papà non poteva rispondere alle sue domande.
Momenti indimenticabili, R. è stata un’assistenza toccante e coinvolgente: lui e la sua famiglia, nella loro normalità, sono stati unici.
L’assistenza di S. è stata un vero pugno nello stomaco, difficile sotto ogni punto di vista: consapevolezza, famiglia, tenacia, attaccamento alla vita. Il significato di “Finché sei vivo, sentiti vivo. Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere…” sembravano scritte per lui. Le sue bimbe un giorno vennero a trovarlo in hospice: erano giorni difficili, passati per lo più nel letto, ma lui fece uno sforzo incredibile e si alzò per andare incontro alle sue due bambine… un momento di straordinario amore… gesti indimenticabili.
Il tempo passò inesorabile anche per lui e per la sua straordinaria volontà arrivò il momento di affrontare le nostre paure: bisognava comunicare alle bambine che il loro padre sarebbe venuto a mancare. Quel giorno pioveva, la madre portò le bimbe in biblioteca ed affrontò con il nostro supporto la terribile comunicazione: risparmio a me ed a voi i particolari.
S. mori in silenzio con la dignità che l’aveva sempre contraddistinto.Come eredità due bimbe, un grande ricordo e un libro mai pubblicato.Quante storie nella mente, quante vite finite e quante vite cambiate: mariti, mogli, figli che si ritrovano soli e devono ricominciare.
Vivere le storie che cerco di raccontare, mi permette di mettere a fuoco la mia vita: tutto prende la giusta dimensione… è paradossale ma mi aiutano più loro che io con il mio lavoro.M. entrò da noi nel mese di ottobre. La sua storia come quella di tanti era una storia di speranza e di delusione, di grande forza e di momenti di frustrazione.
M. era affetto da un male che in nessun caso gli avrebbe lasciato scampo: una neoplasia intestinale. Negli ultimi tre anni aveva tentato di tutto, nel suo periodo di cura aveva avuto una piccola finestra di benessere e in quel periodo insieme alla compagna aveva deciso di avere un figlio. Quando M. morì nella sua stanza a metà corridoio, suo figlio era a casa nelle braccia sicure di sua madre.F. è stata in assoluto fino ad ora la persona che più ha coinvolto il gruppo.
Di lei ricordo la forza con la quale ha affrontato il suo ultimo periodo, la malattia gli ha portato via pezzi di corpo e di autonomia, urine e feci finivano nei sacchetti di raccolta. La sua lettera di saluto è stata per molto tempo appesa nella nostra bacheca: tutti gli operatori dell’hospice ricordano con affetto la Sig. F. sicuramente una persona “speciale”.Un volto lilla su un fondo cartonato M. lo dipinse durante una degenza all’Istituto Nazionale dei Tumori: un quadro molto bello ma il volto era di una profonda tristezza.
Il destino è beffardo: ti colpisce dove sei più debole, dove più ti fa male e credo che per M. sia stato cosi. Le foto alle pareti la ricordavano bella e forse felice.
Ho pensato mentre assistevo M. che era un po’ come affogare dentro ad una stanza: la vedi riempirsi piano piano… l’acqua copre prima i piedi, poi le caviglie, le gambe, la pancia, il petto le braccia ed infine la testa.S. è stata un’assistenza molto breve ma intensa. Di lei ricordo l’ultimo pasto: una mozzarella in carrozza che sembrava un pezzo di cartone, ricordo la sua difficoltà nel mangiarla.
Le foto delle vacanze raccontavano di una vita che non c’era più, il giovane marito sapeva… era in attesa. La fine era imminente, il respiro sempre più impegnato. Pochi giorni dopo è stata sedata in urgenza e poco dopo è deceduta. Era una mattina come tante: arrivo in fondo al corridoio, entro nella stanza, la vedo seduta sulla sedia a rotelle con il viso ormai cereo, era giunto il momento… rimessa a letto, poco dopo si è spenta tranquilla tra le braccia del marito.Entra da noi un giorno come tanti, vado verso il montacarichi con il letto per accoglierlo: si apre l’ascensore ed esce G. sulla sedia a rotelle sbanfante e molto affaticato. Appena vede il letto rifiuta di sdraiarsi: “è troppo complicato poi ti spiego”.
Nei primi giorni di ricovero il respiro migliora, è controllato e G. riesce anche a dormire: la chaise longue è un’altra vita rispetto alle sedie del policlinico. Ci racconta un po’ di sé, del suo lavoro di direttore, della sua “mania” di tenere tutto sotto controllo, ci racconta della sua malattia delle sue speranze di sopravvivenza.
La stomatite complica la seconda parte del ricovero: anche mangiare è divenuto un supplizio… “ma contro chi combatto io” ripeteva. Poi le forze vengono meno, la paura e l’angoscia rompono anche il suo ultimo scudo mentale di difesa.
Una mattina crolla anche la pressione e del buon G. non rimane che un ricordo.Vite spezzate che affollano i nostri giorni e che inesorabilmente scivolano via, allora ecco il mio tributo a voi… ciao e grazie per quello che mi avete regalato.
Nadia, Noi di Vidas
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