L’uso della narrazione (digitale) nella pratica clinica

di Alessandro Franceschini *

mednar

Spesso quando si parla di Medicina Narrativa, ho l’impressione che non si capisca bene a cosa ci si voglia riferire. Gli usi della narrazione in medicina, sono infatti molteplici e, nonostante le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità abbiano cercato di disambiguare il termine, si riscontra ancora una certa difficoltà nel far convergere diverse scuole di pensiero.

Io ritengo che, in riferimento specifico alla pratica clinica, la narrazione dovrebbe rappresentare un elemento in più attraverso il quale i curanti accedono a notizie sulla storia del paziente, che permettono loro di qualificare ulteriormente la relazione di cura e, soprattutto, di effettuare diagnosi più veloci e precise e di personalizzare l’intervento terapeutico facendolo risultare più appropriato ed efficacie.

Un esempio per comprendere quanto sto dicendo. Poniamo il caso che il medico non sappia che il paziente del quale dovrà prendersi cura, al di là di quello che può emergere da una classica anamnesi, abbia alle spalle un’esperienza negativa di vissuto di malattia di un suo conoscente per il quale una certa cura farmacologica non ha avuto gli effetti sperati. È plausibile che il paziente a questo punto sia molto scettico circa la prospettiva di seguire, per sé stesso, una cura attraverso farmaci, ma non è detto che nel setting della visita si senta o abbia l’opportunità di far emergere questo suo pregiudizio. Il medico, senza conoscere questa storia, agirà in maniera standardizzata nei confronti del paziente prescrivendo, come di routine, la cura che riterrà più opportuna ma, presumibilmente, il paziente avrà difficoltà ad aderirvi e magari continuerà a rivolgersi a vari specialisti trovandosi sempre in difficoltà perché la questione non viene affrontata in maniera adeguata. Offrendo invece l’opportunità di raccontarsi in forma scritta, il paziente potrebbe decidere di far emergere questa sua problematica e il curante potrebbe tenerne conto.

Certo, forse sto semplificando troppo. Mi si dirà che il medico comunque cerca sempre di indagare anche il vissuto del paziente per avere a disposizione elementi utili per orientarsi e per supportarlo. Ma quanto è possibile riuscire ad esercitare questo tipo di indagine nei tempi strettissimi di una visita, in un contesto burocratico che spesso non favorisce la possibilità di dialogo approfondito al di là di ciò che è correlato a elementi prettamente clinici?

Metodologicamente, tener conto solo dell’aspetto biomedico della malattia, fa correre il rischio di non riuscire ad approdare ad una diagnosi adeguata e di non personalizzare le cure con tutte le conseguenze negative che questo comporta. Ecco allora che diventa essenziale, per una buona pratica clinica, la possibilità di accedere anche al modo personale col quale il paziente vive la propria malattia. È necessario incarnare quanto più possibile i dati clinici e le migliori linee guida standardizzate all’individualità specifica della persona da curare.

La Evidence Based Medicine trova pertanto nella Narrative Based Medicine una delle sue più utili alleate, generando quell’occasione virtuosa di poter esercitare una medicina che riesce a mettere e tenere insieme fattori quantitativi e qualitativi.

Ma se tutto ciò è vero e condivisibile, uno scoglio da superare è quello della raccolta delle storie dei pazienti da parte dei curanti. È infatti inverosimile che il medico riesca a leggere in maniera approfondita gli scritti dei suoi pazienti e, se anche riuscisse a farlo, poi come utilizzare quei contenuti ai fini pratici? Inutile nascondere che il medico, purtroppo, non è sempre in grado o non ha molto tempo a disposizione per riuscire ad approfondire la conoscenza del vissuto degli ammalati che a lui si rivolgono e che devono essere gestiti alla luce di esigenze organizzative che, sovente, cozzano di fatto con la possibilità di instaurare relazioni di qualità tra gli attori della storia di cura.

Basti pensare che l’utilizzo della medicina narrativa è menzionato anche nella checklist che l’Age.na.s. ha predisposto per la “Valutazione partecipata del grado di umanizzazione delle strutture di ricovero”, ma che ad oggi, su una scala di punteggi da 0 a 10, la medicina narrativa ha un valore di solo 2,2. Questo vuol dire che nonostante si riconosca e si cerchi di promuovere ufficialmente la medicina narrativa nelle strutture sanitarie, con difficoltà i professionisti della salute riescono a prenderla in considerazione in maniera concreta.

Un aiuto in tal senso ritengo possa arrivare allora dall’innovazione digitale. Potrebbe essere agevole raccogliere le storie dei pazienti su una sorta di diario digitale creato ad hoc, come nel caso della piattaforma DNM-Digital Narrative Medicine, nel quale il paziente può raccontarsi guidato da stimoli narrativi specifici stabiliti dal curante stesso e che poi questo abbia l’opportunità di accedere alle storie prodotte, attraverso l’elaborazione sintetica che alcuni esperti fanno dei racconti.

Interessante infatti è tener conto che una buona analisi narrativa delle storie dei pazienti può permettere di inquadrare la persona non solo rispetto alla fase attuale del suo vissuto di malattia, ma anche cogliendo il suo futuro atteso. In questo modo il medico, integrando i dati e la valutazione prettamente clinica con il punto di vista personale che il paziente ha di sé stesso in quanto ammalato, riesce a orientare in maniera più adeguata anche la prospettiva dell’obiettivo terapeutico verso il quale tendere.

Spesso si ha il pregiudizio che la tecnologia digitale spersonalizzi la relazione, ma in questo caso è vero l’esatto contrario: la medicina narrativa digitale può rappresentare realmente un’innovazione utile ed efficacie per la pratica di una buona medicina attenta alla persona e uno strumento particolarmente valido per promuove lo sviluppo del processo di empowerment, inteso come indice di soddisfazione e valutazione da parte dei cittadini dei servizi per la salute e partecipazione consapevole nelle decisioni che riguardano la propria salute. Un umanesimo digitale nell’ambito della pratica medica rappresenta così una delle innovazioni più affascinanti che proietta l’oggi verso un domani più rassicurante.

 

Alessandro Franceschini, dottore in Filosofia con un master in Medicina Narrativa, si occupa di Medical Humanities e insegna Filosofia Sistematica presso l’ISSR de L’Aquila collegato alla Pontificia Università Lateranense.