La traiettoria di malattia in un’opera d’arte
La magia dell’arte e la bellezza che salva. Nove frammenti di un dramma intimamente vissuto. Nove tele magistralmente dipinte, nelle quali si condensa tutto il carico emotivo dell’incontro-scontro con la malattia. Nove immagini che permettono di esperire l’intelligenza delle emozioni. Attraverso il linguaggio dell’arte figurativa, la narrazione di un vissuto può risultare molto più eloquente delle parole. Il polittico “Liquidi 13 o Trillo del diavolo” dell’artista andalusa Evita Andújar.
Articolo di Alessandro Franceschini su OMNI
La malattia è tra le esperienze che più di altre segnano indelebilmente l’esistenza umana, provocando una profonda crisi e una frattura nell’identità del soggetto che è chiamato a rapportarsi con i propri limiti e con il manifestarsi di una sofferenza che, sovente, invade ogni dimensione della propria persona, penetrando sia il corpo che l’anima. In diversi modi si può poi reagire di fronte ad una patologia, ed è qui che le peculiarità di ciascun individuo entrano in gioco, intessendo le trame di quella che, in fin dei conti, è la storia personale dell’ammalato che carica di significato quel dato biologico, il quale prepotentemente si incarna e si declina nelle pieghe del vissuto.
Quante variazioni nell’esecuzione di quell’unica partitura che è il vivere; quanti fattori generano inediti sviluppi di quel fenomeno fisiologico che la scienza medica, in molti casi, riesce ad incasellare in categorie predefinite, ma che prepotentemente rivendica il diritto di appartenere al diretto interessato, a quel corpo specifico, a quell’esistenza personale, dove biologia e biografia si mescolano portando alla luce la contraddizione che segna ogni vita umana nella fragilità.
Ciascun ammalato è unico, come uniche sono le proprie strategie di adattamento e sopravvivenza, tanto da riuscire, talora, a trasformare quella che è una ferita in una feritoia attraverso la quale far penetrare il cambiamento nella fantastica storia della vita, non escludendo il dolore, ma piuttosto integrandolo in un orizzonte più ampio e variegato di senso e significato, senza ometterne i tratti di drammaticità che la caratterizzano.
E l’arte, in tutto ciò, può rappresentare uno strumento prezioso in grado di esprimere un’immagine di quello che siamo giunti a comprendere e che, come ricorda Joyce nel suo Dedalus, può coincidere con la bellezza. “Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch’essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un’immagine di quella bellezza che siamo giunti a comprendere: questo è l’arte.”
Ascoltare con pazienza la propria voce interiore che durante la convivenza con la malattia stride e viene soffocata dall’angoscia, da una sorta di aporia, è senza dubbio un atto di coraggio; vuol dire continuare a credere in sé stessi e credere che abbia un senso cercare di trovare la propria forma. Ma si scappa tanto spesso da sé stessi, che una prospettiva del genere risulta essere tanto affascinante quanto insolita.
Evita Andújar, nel panorama artistico contemporaneo, può rappresentare a pieno titolo una testimonianza particolarmente eloquente e significativa di quell’atto di audacia che si ostina a cercare di trovare la propria forma nonostante tutto, riconoscendo il valore catartico della propria espressione artistica, capace di generare una narrazione di quello che è il vissuto di malattia e di cura, che in questo caso brilla per intensità di bellezza, bontà e verità.