La formazione sull’empatia funziona?

Due giovani italiane, studentesse a Groninger, Chiara Traversa e Clarissa Guidi, raccontano come hanno indagato le Medical Humaninities e la Medicina Narrativa fino a pubblicare un interessante articolo:  “Empathy in patient care: from ‘Clinical Empathy’ to ‘Empathic Concern’” pubblicato online su Springer – Medicine, Health Care and Philosophy lo scorso primo luglio.

Stefania Polvani intervista Clarissa, che ha frequentato il primo corso di 40 ore per Facilitatori di Laboratori di Medicina Narrativa organizzato da SIMeN.

Senza-titolo-1

 Clarissa come è nata l’idea di un articolo sull’empatia e la Medicina Narrativa?

L’idea di scrivere un articolo di ricerca è nata all’interno del nostro percorso universitario circa due anni fa. Al tempo entrambe stavamo studiando alla facoltà       interdisciplinare dell’università di Groningen, dove al secondo anno di università abbiamo avuto l’opportunità di utilizzare uno spazio accademico di 5 crediti come   meglio pensavamo. Ne abbiamo parlato un po’ e, dopo esserci confrontate sul da farsi, abbiamo pensato: Perchè non provare a scrivere un articolo accademico insieme?

All’inizio di questo progetto non avevamo un’idea chiara e precisa su che cosa scrivere, sapevamo solo che ci sarebbe piaciuto approfondire il nostro interesse per le   Medical Humanities (o Scienze Umane Mediche, così come le chiamano qui in Italia) e la Medicina Narrativa…

Così abbiamo iniziato a fare ricerca: ore e ore passate a studiare articoli e libri sull’argomento. Le nostre scrivanie erano così piene di cose da leggere che c’era a   malapena spazio per una tazza di tè. Ma è stato proprio grazie a questo processo di studio “matto e disperatissimo” che abbiamo potuto riflettere meglio sul tipo di     lavoro che avremmo voluto condurre.

Da qui è venuta fuori l’idea di approfondire la tematica dell’empatia in ambito medico, fondamentale sia nelle Medical Humanities che nella Medicina Narrativa. Entrambi gli approcci, infatti, promuovono una relazione medico/paziente basata e incentrata sull’ascolto, la comprensione e la comunicazione empatica.

E dunque, una volta individuata l’empatia come fil rouge del nostro articolo, abbiamo iniziato ad approfondire il tema sempre di più. Abbiamo esaminato i vari dibattiti sull’argomento, analizzato vantaggi e svantaggi, e abbiamo finito per sostenere e promuovere una concezione più ampia e complessa della cosiddetta ‘empatia clinica’; un qualcosa che abbiamo chiamato ‘empathic concern’.

Quanto è stato facile o difficile pubblicare un articolo su questo argomento?

In realtà, le difficoltà che abbiamo riscontrato rimangono pressoché limitate al fatto che abbiamo portato avanti questo progetto fino alla pubblicazione in parallelo ai corsi universitari, gli esami e la tesi. Infatti lo spazio accademico di 5 crediti (equivalente ad un singolo corso universitario) che abbiamo avuto a nostra disposizione per iniziare questo progetto è giunto al termine dopo circa tre mesi di lavoro molto intenso.

Inoltre, per lo meno in un primo momento, non avevamo preso in considerazione l’idea di una futura pubblicazione in modo serio. È iniziato tutto quasi per gioco, con quelle battute che si fanno tra amici come “Immagini se riusciamo a pubblicare?”, oppure “Sarebbe bello auto-citarsi per una volta”, cose così… Inizialmente volevamo solo fare esperienza di ricerca accademica.

Dopo qualche settimana di lavoro, però, Alberto Godioli – il professore che ci ha fatto da supervisore accademico nell’arco di quel trimestre e da punto di riferimento nei mesi a venire – ci suggerì di considerare l’ipotesi di una eventuale pubblicazione in modo reale. Solo a partire da quel momento abbiamo iniziato a lavorare con l’idea di una pubblicazione in mente; un obiettivo che abbiamo poi deciso di mettere da parte almeno per un po’ di tempo. Infatti, dopo circa tre mesi di ricerca conclusasi con una stesura di una prima bozza, ci siamo rese conto che il ritmo era diventato insostenibile. Non è facile trovare e riuscire a mantenere un buon equilibrio che ti permetta di portare avanti la ricerca, le lezioni, gli esami, e la vita.

Così a un certo punto ci siamo fermate, e sedute al tavolino con una tazza di tè in mano ci siamo dette: facciamo del nostro meglio, quello che ne viene fuori possiamo sempre riprenderlo in mano in futuro, riscriverlo, modificarlo. E proprio così abbiamo fatto, fino a quando Springer non ci ha dato conferma della pubblicazione, avvenuta il 1 Luglio 2021.

 

Continua a leggere l’articolo “La formazione in medicina narrativa funziona?” clicca qui