analisi

Haiku: poesia che cura

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Articolo di Simonetta Marucci

Palazzo Francisci, a Todi, è stata la prima struttura residenziale pubblica, extraospedaliera, dedicata ai Disturbi del Comportamento Alimentare.

All’ingresso campeggia una scritta, incorniciata: “L’anima ha bisogno di un luogo” (Plotino) che riassume in sè la filosofia del progetto terapeutico finalizzato, essenzialmente, alla ristrutturazione della identità. A tale scopo, si sono introdotte accanto alla terapia cognitivo comportamentale corrente, tecniche di rilassamento e meditazione, danzaterapia, musicoterapica, teatroterapia, “terapia dello specchio”, Counceling filosofico, e gruppo di Poesia Haiku, in uno spazio di cura condiviso da pazienti e terapeuti.

Questo approccio integrato permette di ridurre al minimo le terapie farmacologiche, che vengono utilizzate solo nei casi in cui si ravvisi una precisa indicazione legata alla presenza di psicopatologie associate, dal momento che non esistono evidenze riguardo alla efficacia, a lungo termine, di psicofarmaci  nei DCA.

L’idea di questo spazio terapeutico che non ricorda lontanamente un ospedale o un reparto psichiatrico, dove non ci sono camici bianchi né sbarre alle finestre, dove le porte sono sempre aperte, nasce dalla consapevolezza che questo tipo di disturbi richiede una presa in carico totale dei pazienti, un “prendersi cura” che implica il concetto della trasformazione dello “spazio” in un “luogo” condiviso tra pazienti ed operatori, in cui si integrano risorse umane e saperi diversi.

Palazzo Francisci ha un fascino antico, con i suoi soffitti affrescati e i mobili di famiglia, è una “casa” con una storia, capace di accogliere altre storie, un luogo dell’anima dove si cerca di recuperare l’identità perduta e dove potersi munire di strumenti utili ad elaborare strategie che permettano di abbandonare la “soluzione” offerta dal sintomo.

Il programma giornaliero è intenso ed articolato: i pasti sono assistiti, e rappresentano anch’essi un momento terapeutico in cui gli operatori intervengono nell’aiutare a decodificare ed eliminare i fattori disfunzionali quali lo spezzettamento infinito del cibo dell’anoressica, o l’ingurgitare senza masticare della bulimica. Ogni gesto deve riacquistare consapevolezza allo scopo di portare alla coscienza ed imparare a gestire i comportamenti e le idee ossessive rivolte al cibo ed al corpo.[1]

Oltre alla psicoterapia, si sono strutturate altre attività volte a riproporre la percezione del corpo, delle sensazioni che nascono da esso, e ad accettarle senza giudizio.  In una patologia dove il corpo è fortemente idealizzato e non vissuto e percepito, questo tipo di metodiche agiscono facendo riscoprire dimensioni fisiche dimenticate e sepolte, e riaprono un collegamento corpo-mente che risulta fondamentale nel processo di ricostruzione della identità. La scrittura autobiografica e la poesia Haiku si rivelano strumenti preziosi, in questo senso, come forma di meditazione sulle emozioni e sulle parole utilizzate per esprimerle.

Una delle ospiti, scrive nel diario emotivo:

Ora che (il mio corpo n.d.a.) inizia ad ammorbidirsi e a riprendere le caratteristiche di donna, guardo e tocco con tenerezza il mio seno che riinizia a prendere forma, braccia e natiche più morbide, bisognose di calde carezze. In contemporanea con questo cammino ho avvertito il vibrare dentro di me di corde dimenticate, corde che da tempo nessuno sfiorava, il cui timido suono ora accompagna di nuovo questa mia anima ritrovata. Il corpo parla di me, ma non è il mio schiavo: è un complice da rispettare con cura e accettare come un alleato, non un nemico. Ha la sua storia che cammina insieme alla maturazione interiore. Prenderne coscienza è un buon passo avanti verso la guarigione…mi sorprendo a commuovermi a questi pensieri…SONO VIVA!

La malattia è il risultato di uno squilibrio emozionale che ha bisogno del corpo per esprimersi attraverso i sintomi, la cui cura però non si esaurisce nel corpo ma si deve rivolgere al riequilibrio degli stati emozionali che ne sono la causa.

Il giovedì mattina, dopo il controllo del peso corporeo, momento carico di tensione, aspettative e nel quale avviene l’incontro coi propri fantasmi ossessivi, abbiamo il Gruppo di Poesia Haiku.

Si accostano un po’ le persiane delle ampie finestre che inondano di luce la stanza, si crea una leggera penombra che rende più facile concentrarsi sulle proprie sensazioni, ci si siede in cerchio intorno al grande tavolo e, sotto la guida della terapeuta, si inizia il viaggio attraverso le intime profondità che l’Haiku scopre, nella cattura di un istante denso di emozione.

L’Haiku è una poesia semplice nella struttura e nei toni, ed affonda le sue radici nella cultura giapponese del secolo XVII, derivando da forme più antiche di componimenti poetici risalenti fino al IV secolo. [2]

La sua struttura è di 17 sillabe, suddivise in tre versi, 5-7-5. Il soggetto è rappresentato da immagini della natura ispirate alle emozioni che colpiscono l’animo di chi scrive, andando a costituire poi una metafora delle insondabili profondità del vissuto esistenziale.

Si potrebbe pensare che una struttura formale così rigorosa possa essere una sorta di costrizione per la creatività del poeta, ma è proprio qui la potenza dell’Haiku: essa consente di fissare la sensazione in una immagine indelebile che rimarrà per sempre nella memoria.  E’ proprio la lapidarietà dell’Haiku che permette di valorizzare e dare significato profondo ad ogni parola ed alla impressione che essa vuole rivelare.

Perché inserire l’Haiku nel programma terapeutico dei Disturbi del Comportamento Alimentare?

In una malattia caratterizzata da un pensiero ossessivo focalizzato sul corpo, sulle forme corporee, sul peso e, di conseguenza, sul cibo tale da invadere l’intera esistenza del paziente, non lasciando spesso spazio ad altri vissuti, esprimere un’emozione, evocata dalle sensazioni ascoltate a livello del corpo, unico teatro della rappresentazione della vita emozionale, e farlo in sole 17 sillabe, in tre versi non legati da nessi logici, induce a semplificare l’espressione ed il pensiero che c’è dietro, togliendo il superfluo, le sovrastrutture, riducendolo all’essenziale.

La contestualizzazione in una immagine della Natura, permette di fermarsi a cogliere le proprie sensazioni in un “qui ed ora” che le fisserà in un quadro indelebile di struggente bellezza  e semplicità che non sarebbe possibile esprimere attraverso il pensiero razionale.

Nella poesia Haiku, ognuno può essere contemporaneamente autore e lettore ed è questa dinamica che si realizza nei gruppi terapeutici di Palazzo Francisci. La lettura dell’Haiku, nel silenzio profondo necessario a coglierne le impressioni, rappresenta un momento di condivisione di emozioni che appartengono a tutti, chiunque sia stato a evocarle.   Ciascuno esprime, in una sorta di “brain storming”, la propria risonanza, derivante dalla proiezione del proprio vissuto sulla impressione derivante dall’immagine suggerita dal componimento poetico.

Nell’Haiku si parte dell’ascolto delle sensazioni del corpo, delle emozioni che evocano e, dovendole poi esprimere in un linguaggio verbale, è necessario connettere ad esse la parte cognitiva e razionale, dandole però un ruolo espressivo, metaforico, e non interpretativo-giudicante. Si ricrea così, gradualmente, la comunicazione corpo-emozione-pensiero, ripercorrendo vie interrotte ma non scomparse. E’ come riaprire un sentiero coperto da rovi ed arbusti poiché nessuno ci è più passato da tempo: il sentiero era lì anche prima, basta solo riportarlo allo scoperto….Il dialogo ritrovato tra emozioni e pensiero impedisce che esse si riversino sul corpo.

Lo esprime L., raccontando il suo incontro con l’Haiku: “….un giorno presa dalla disperazione, con tanta spontaneità ho buttato giù ciò che il mio stomaco voleva dire perché è lì che si bloccano tutte le emozioni, ed è tanto liberatorio, seguita da una fase più razionale perché non è come una tela dove i colori possono spargersi, diluirsi liberamente, per definirlo haiku bisogna scegliere le sillabe giuste e quindi modificare, riformulare, ristrutturare con sinonimi, tagli e cuci le parole scritte tutte d’un fiato………La rabbia che sfoghi con l’haiku non fa male come pugni contro le pareti, tagli e incisioni sulle braccia, anzi ha poi un effetto rilassante e ti permette di capire cosa stai provando. Se adesso rileggessi tutti gli haiku scritti in ordine cronologico potrei tracciare una sorta di biografia emozionale oscillante vissuta all’interno della residenza, da rabbia furibonda verso me stessa e il mondo esterno, dalla sfiducia nel trattamento ai primi segni di resa e affidamento….”

Di fronte a me                                                                        Sono in fuga      

Querce e sassi, mentre                                                         Tutte le immagini    

Piccola guardo.                                                                     Nei miei occhi

L’Haiku non equivale ad una Psicoterapia, né la può sostituire, ma ne diventa un complemento indispensabile poichè apre la strada e rende maggiormente accessibili alle terapie psico-comportamentali attraverso una stabilizzazione dell’umore ed una minore difficoltà a prendere contatto con la propria coscienza.

Scrive B.: “ …ora i miei Haiku sono lo specchio di occhi che hanno riscoperto la pienezza della vita, anche a volte nei suoi aspetti soffocanti, capaci di oscurare tutto..”

Si impara a partire dal corpo, ad ascoltare le proprie sensazioni senza interpretarle o modificarle e, con la stessa immediatezza, seguire allo stesso modo  un pensiero, allenandosi ad osservare senza giudizio, concentrandosi sul momento presente, sul “qui ed ora”.

Scrive L.: “ Il loro valore terapeutico, nel mio caso, non ha avuto eguali. Mi ha aiutato a tirare fuori, nei momenti più bui ma anche in quelli piacevoli, ciò che avevo dentro. Ciò che sentivo in me ma a cui non sapevo dare un nome e non riuscivo neanche a riconoscere. …. L’importante non è capire ma SENTIRE, far uscire ciò che si sente “di pancia”….

Prendendo atto della fugacità e transitorietà di ogni sensazione o pensiero, si impara a non provare desideri o avversioni, a non scacciare né coltivare quanto si percepisce.

Il pensiero ritorna ad essere solo un pensiero, si spoglia della importanza che lo rende invasivo, ossessivo, perde di realtà.

Non c’è alcun obiettivo da raggiungere: lo scopo è la consapevolezza costante di sé stessi, la riscoperta delle qualità più profonde, la fiducia nelle proprie qualità lasciandosi andare alle sensazioni che il proprio corpo esprime, senza giudizio.

Si rinforza il sentimento di accettazione di qualsiasi sensazione, in quanto messaggio del corpo da non rimuovere e, riscoprendo le proprie sensazioni con un sentimento positivo, la persona sperimenta un sentimento di benessere interiore, di accettazione di sé che necessariamente non farà che aumentare l’autostima e la fiducia nelle proprie possibilità di essere artefici del cambiamento che porterà al grande cambiamento che si chiama “guarigione”.

[1] S.MARUCCI, L.DALLA RAGIONE:, L’anima ha bisogno di un luogo, (Nuova ed. aggiornata) Tecniche Nuove, Milano, 2016

[2] ARENA L.V., Haiku, Rizzoli, Milano 2010

Simonetta Marucci è Endocrinologa, esperta in Omeopatia, Omotossicologia e Agopuntura. Lavora presso il Centro per il trattamento dei Disturbi alimentari di Todi ed è autrice di numerose pubblicazioni. Svolge inoltre attività didattica nell’ambito della Medicina Integrata e dei Corso di Formazione sui Disturbi alimentari.