Deborah, la dottoressa che cura i pazienti con il Pronto soccorso poetico
Un’ambulanza. Un lettino. E una dottoressa dai capelli rossi e lo sguardo di chi sa ascoltare. Niente flebo, defibrillatori e bombole di ossigeno però: qui le urgenze si curano a colpi di versi letterari. E’ il “Pronto soccorso poetico”, il presidio sanitario per l’anima da duemila pazienti all’anno, ideato da Deborah Alma, scrittrice inglese che a bordo di un’ autolettiga degli anni ’70 acquistata su eBay viaggia da nord a sud della Gran Bretagna prescrivendo poesie contro il mal di vivere.
“Fin da bambina volevo fare la scrittrice” – spiega – “Quando mi sono trovata a dover crescere due figli da single, con pochissimo tempo a disposizione, mi sono avvicinata alla poesia perché mi permetteva di essere immediata, di creare qualcosa negli spazi ridotti che avevo per me. Con la scrittura ho poi lavorato sia con persone affette da demenza senile e sia con i bambini nelle scuole primarie: nel constatare quotidianamente il benessere che possono dare le parole giuste dette o lette al momento giusto è nata l’idea della «Emergency poet»”.
La dinamica è semplicissima: una volta indossato il camice l’atipica dottoressa invita le persone a coricarsi sulla barella per sottoporle alla visita. La diagnosi arriva infatti dopo una lunga chiacchierata durante la quale si toccano i punti critici delle proprie esistenze. “Formulo domande in grado di evocare zone belle e tranquille della mente. Citando il poeta irlandese Yeats, per esempio, chiedo di descrivermi la stanza ideale per quando saranno “vecchi, grigi, sonnolenti, col capo tentennante accanto al fuoco”, entrando in empatia con loro e offrendo così un canale per sognare e aprirsi senza inibizioni. In questo confronto faccio una sorta di radiografia di chi ho davanti a me: chi è, cosa pensa, quali sono le sue abitudini, cosa lo rende felice e infelice, quanto è abituato a rilassarsi o a prendersi cura di sé. Poi, una volta individuati i sintomi, cerco la poesia più adatta tra le oltre 300 che conservo nel mio archivio”.
Per riprendersi da un amore non corrisposto il farmaco generico ideale risulta così essere “Amore dopo amore” del premio Nobel Derek Walcott, contro lo stress e lo sfinimento da troppo lavoro invece il trattamento prevede “Poscritto” dell’irlandese Séamus Heaney, per alleviare e rielaborare i lutti ecco “Andrà tutto bene” del nord irlandese Derek Mahon. Una sorta di ricostituente preventivo, adatto per tutte le stagioni, è “Agio” del gallese William Henry Davies: un inno alla vita e al suo flusso da godersi istante per istante.
“Tra le emergenze più diffuse che mi trovo ad affrontare c’è la solitudine, il bisogno di trovare qualcuno di cui fidarsi e con cui sentirsi complici. E poi c’è la grande contraddizione della nostra società: tante persone sanno cosa potrebbe farle stare meglio e cosa potrebbe nutrire il loro essere. Però non si muovono, non cambiano niente: sono bloccate a combattere qualcosa di vuoto, come la carriera, il guadagno o lo status sociale. Mentre si accontenterebbero di cose più semplici e minute. E allora mi chiedo perché non si diano una mossa a variare direzione: non esiste un domani, bisogna vivere per l’oggi”.
Tra i progetti nel cassetto della vulcanica Alma, che si guadagna da vivere organizzando workshop di scrittura creativa e partecipando a festival letterari, ci sarebbe quello di portare la sua ambulanza fuori dai confini del Regno Unito, prima in un tour negli Stati Uniti e poi lungo le strade dell’Europa. Sempre accompagnata dal marito James, poeta di professione e “poemedic”, ovvero un paramedico della poesia, per amore. Per ora però le giornate passano nel tentativo di smaltire le code sotto la veranda allestita a sala d’aspetto. O nel rispondere agli sms o alle lettere di chi scrive per raccontare gli effetti della ricetta prescritta. “Ovviamente non sono un dottore. Mi sento una sorta di indovina: ascolto, capto, colgo le sfumature e con leggerezza oriento gli umori. Eogni incontro è una storia a sé: ricordo di una signora molto chiusa, titubante, quasi sospettosa, che al termine della seduta mi ha chiesto disperatamente qualcosa sull’amicizia. Poche ore prima aveva perso la sua migliore amica. Allora le ho consigliato “Friendship” di Elizabeth Jennings, che parla proprio dei legami che non finiscono mai. E, ancora una volta, sono rimasto sbalordita nell’osservare quanto una poesia, solo una singola poesia, possa fare la differenza”.
Articolo di Federico Taddia su La Stampa