We Women Engineers intervista Cristina Cenci: prospettive di Medicina Narrativa
Eccoci al terzo appuntamento della Rubrica “La Salute tra oggi e domani”.
Si tratta di un appuntamento speciale in quanto quello in questione è un articolo a quattro mani: le mie e quelle di Manuela Appendino, fondatrice di WeWomEngineers e curatrice della Rubrica Tech&Child.
Articolo di Giusi Di Salvio, We Women Engineers
La Medicina Narrativa, di cui ho parlato nel precedente articolo, ci ha appassionate al punto da ritornare sull’argomento ma in modo un po’ particolare.
Dal primo istante in cui sono venuta a conoscenza della Medicina Narrativa, l’ho intesa come il connubio tra buona pratica medica del passato ed appropriato utilizzo della tecnologia del presente, ed ancor più del Dal primo istante in cui sono venuta a conoscenza della Medicina Narrativa, futuro.
Il rapporto medico-paziente, che è il fulcro della Medicina Narrativa, è un tema che merita di essere approfondito.
Questo è ancor più vero per chi, come me, crede profondamente nel potenziale dell’Ingegneria Biomedica di realizzare delle modalità di cura (oltre che di diagnosi, intervento, riabilitazione) che, prima di tutto, migliorino la qualità di vita del paziente in relazione alla propria malattia.
Il progresso e l’innovazione in campo medico, resi sempre più possibili dalle tecnologie avanzate utilizzate, ormai, in maniera del tutto capillare, possono ritenersi tali solo se consentono di “far star bene il paziente” prima che curare, in modo sempre più efficace ed efficiente, la malattia.
Insomma, il paziente è, prima di tutto, un essere umano che, indipendentemente dal proprio stato di salute, deve riuscire a condurre uno stile di vita migliore possibile e, quindi, sentirsi sempre più in grado di superare la malattia stessa.
Se la Medicina Narrativa nasce per avvicinare le due facce di una medaglia: paziente-medico, dall’altra si innesca l’esigenza di trovare un punto sinergico sul quale poter dialogare tutti insieme indistintamente, pazienti, clinici e perché no, anche gli ingegneri biomedici.
Troppo spesso l’approccio tecnico-scientifico trascura la comunicazione intesa come apertura all’emozione, al feeling che si può creare all’interno di un team di sala operatoria.
Sebbene essere tecnicamente preparati sia una condizione sufficiente, noi WWEvvini pensiamo che il dialogo sia ancora carente e che si debbano attivare iniziative che possano aprire gli orizzonti di ciascuno.
Incontrare Giusi in questo progetto è stato determinante perchè proprio grazie alla sua condivisione ed al supporto reciproco abbiamo provato ad esplorare un terreno molto comunicativo, di conseguenza un pò lontano dal quotidiano di un ingegnere Biomedico e Clinico.
Avvicinarci a Cristina è stato un onore oltre che un piacere, per la sua disponibilità e perché ha saputo apprezzare il nostro intento.
Alla luce di queste considerazioni, ci siam dette: chi potrebbe aiutarci meglio di Colei che ha creduto nella Medicina Narrativa al punto da fondare un Centro di Ricerca ed Innovazione ed una Start Up che ne consentono l’effettiva applicazione nella pratica clinica?
Ecco Cristina Cenci: antropologa, fondatrice del Center for Digital Health Humanities e della start up DNM-Digital Narrative Medicine, curatrice del blog Digital-Health, NOVA-SOLE24ORE.
Dunque, vi lasciamo alle Sue parole.
▪ In che modo hai sfruttato il tuo corso di Laurea, la tua preparazione, per arrivare a temi di carattere generale come la salute, portando alla ribalta questioni delicate, rivolte, appunto, ai pazienti? Al riguardo, oggi si sente, sempre più, parlare di “empowerment” del paziente. Cosa si intende con ciò?
Il primo grande strumento che ti offrono gli studi antropologici è “lo sguardo da lontano”, la capacità cioè di problematizzare l’ovvio, di guardare tutto, anche gli aspetti più banali del quotidiano, come se si venisse da un altro mondo. Per questo ho cominciato a guardare il web e le conversazioni online, come una “straniera interna” e mi sono resa conto di quanto sia riduttivo considerarli semplicemente un nuovo strumento di comunicazione. L’interazione online e virtuale costruisce in realtà nuovi mondi e noi viaggiamo tra un mondo e l’altro. Pensiamo ai selfie che ogni giorno vengono pubblicati su quella piazza virtuale che è instagram. Immaginiamo di farlo su una delle tante piazze italiane, dovremmo pagare per occupazione di suolo pubblico. Internet cambia la definizione di pubblico e di interazione tra individuo e collettività. In questo nuovo contesto, cambia anche il significato di “empowerment”, che nella sua accezione tradizionale sembra implicare un processo di educazione del paziente per una scelta più consapevole, mantenendo una valenza gerarchica. Il digitale sposta l’interazione in un terreno più paritario. Per questo, in letteratura, si tende a usare sempre più spesso il concetto di engagement, che una recente Consensus Conference ha definito come processo che coinvolge tutti gli attori della cura e non solo il paziente.
▪ Quale pensi debba essere l’evoluzione della Medicina più congeniale alle mutevoli esigenze del paziente, in modo da migliorare l’efficacia terapeutica?
Penso che dobbiamo cambiare le parole che diamo alle cose, perché questo può aiutarci a rimettere in discussione modelli che non hanno funzionato. Vi sembrerà strano, ma una delle espressioni che cambierei è “il paziente al centro”, la sostituirei con “la relazione al centro”. Troppo spesso “il paziente al centro” rievoca e si associa a “il cliente al centro”, facendoci pensare che ci sia un solo soggetto da soddisfare. Il rituale dell’atto terapeutico contemporaneo fonda invece la sua efficacia sulla co-costruzione della storia di cura, sulla valorizzazione delle conoscenze, dei vissuti, delle aspettative sia del curante che del paziente. Siamo abituati ad attribuire “il sapere” al medico e “il bisogno” al paziente. In realtà, pur nella differenza, anche il paziente è portatore di un sapere importante, così come il medico è portatore di aspettative ed esigenze. Mi ha sempre colpito una cosa: io riesco a capire se le mie figlie hanno la febbre, anche una piccola alterazione, senza termometro, mi riesce solo con loro. Ho una competenza corporea che nasce da un’intimità che un medico non potrà mai avere. Molti medici riconoscono che nella storia di un paziente, nelle metafore che usa, c’è talvolta una diagnosi cifrata. Altre volte ovviamente c’è il contrario: un rifiuto e un oscuramento dalla diagnosi. È importante però lasciare spazio all’ascolto e all’intuito clinico che può generare. A sua volta, il curante non è un erogatore di servizi a un cliente, è un potenziale mediatore di vita e di morte, è a contatto con materiale emotivo incandescente e il suo benessere, i suoi bisogni sono fondamentali per il successo di un percorso di cura.
▪ La Medicina Narrativa ha lo scopo di creare complicità tra medico e paziente, servendosi di piattaforme e tecnologie digitali. Il binomio complicità/digitale, tuttavia, viene visto come una vicendevole esclusione.
In che modo spieghi, invece, tale connubio?
Quando si parla di medicina narrativa si pensa subito ad una relazione medico paziente caratterizzata da maggiore vicinanza e attenzione. E spesso si tende ad associare questi aspetti ad una relazione faccia a faccia. La diffusione delle tecnologie digitali di conversazione, soprattutto nella salute, mostra come la narrazione mediata da un computer o uno smartphone possa essere ugualmente efficace ed empatica. Lo schermo digitale non introduce maggiore spersonalizzazione nella relazione, al contrario, può facilitare l’ascolto della storia del paziente. Il medico spesso non è abituato ad ascoltare e gestire i vissuti emotivi e i bisogni della persona nel malato, tende a vedere solo la malattia. Nella maggior parte dei casi non ha tempo reale e soggettivo per questo tipo di ascolto. A sua volta il paziente, nel corso della visita, tende a non ricordare con chiarezza, è confuso, talvolta in soggezione. L’uso della comunicazione digitale consente al medico e al paziente di scegliere i tempi della scrittura e dell’ascolto. Il paziente scrive quando si sente, quando riesce, quando ha il problema. Il medico legge quando può e riesce anche meglio a condividere con l’intero team curante osservazioni e feedback. Sono sempre di più le start up e i device per il telemonitoraggio dei parametri clinici. Pensiamo che il digitale sia fondamentale anche per rilanciare e valorizzare l’uso delle narrazioni nella pratica clinica. La raccolta digitale della storia elimina i tempi di trascrizione dell’intervista con un impatto importante sui tempi e le modalità di analisi e interpretazione. Facilita anche in modo significativo il lavoro del team, che può aggregarsi e confrontarsi intorno alla storia del paziente, senza figure di mediazione/traduzione. Il digitale rende più percorribile e operativa l’integrazione dei diversi punti di vista. continua a leggere
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