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Medicina narrativa e biomedicina, un confronto tra nuove esigenze e vecchi miti: la sintesi

Lo scorso 4 maggio, presso l’Aula Volpi dell’Università degli studi di Roma Tre, ha avuto luogo il convegno interdisciplinare dal titolo “Medicina Narrativa e Biomedicina, un confronto tra nuove esigenze e vecchi miti“.

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Perché oggi, momento in cui la EBM sembra essere il motore di nuove scoperte scientifiche, assistiamo ad un ritorno della narrazione quale necessità sociale e conoscitiva?

A questo e ad altri interrogativi hanno cercato di rispondere gli esperti che sono intervenuti durante il convegno.

La prima sessione, dal titolo Etica e biomedicina, quale possibile integrazione nella società dell’informazione? è stata aperta da Francesco Vaia, Direttore Sanitario degli IFO, che ha sottolineato l’importanza di rendere concreta la parola umanizzazione, collegandola al bisogno di una applicabilità nella pratica clinica. Occorre “prendersi cura” più che curare, l’ospedale stesso non deve più essere visto come luogo di cura, ma come comunità di cura.

Nel secondo intervento Maria Teresa Russo, docente di Bioetica dell’Università Roma Tre, ha parlato della formazione filosofica del personale sanitario e i nuovi modelli di salute e malattia, sostenendo che il bisogno di narrarsi nella malattia è un tentativo di recuperare la realtà biografica del paziente, ponendo al centro, più che il paziente stesso, la relazione tra quest’ultimo e il suo curante.

Dal consenso informato alla crowd medicine è il titolo dell’intervento di Cristina Cenci, Antropologa e co-fondatrice del Center for Digital Health Humanities, che ha posto l’accento sul fatto che oggi, nella maggior parte delle interazioni con i curanti, sono i pazienti stessi a non volersi raccontare, considerando la propria biografia quasi come un elemento di disturbo per il medico; non è stato il consenso informato a riportare la persona al centro, ma l’attuale rivoluzione digitale sta introducendo nuovi percorsi di comprensione e appropriazione del percorso di malattia e di cura. La crowd medicine, una medicina collaborativa, facilitata dallo sviluppo delle tecnologie digitali, può arrivare ad essere un percorso di co-costruzione della propria malattia, supportato da una partecipazione stabile della comunità online. Il rischio di “curarsi con Google” può  ridursi grazie alla medicina narrativa, che offre gli strumenti per portare la crowd medicine all’interno della pratica clinica e riduce i rischi provocati da un’eccessiva fiducia verso le cure offerte dalla rete.

La seconda sessione, Umanizzazione dei servizi e medicina narrativa: il valore dell’ascolto e del racconto,è stata aperta da Lucia Celesti, Responsabile Accoglienza e Servizi per la Famiglia Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che si è concentrata sulla Terapia dell’Accoglienza; ha descritto l’ospedale come struttura complessa che sostiene gli aspetti umani, sia con i numerosi servizi dedicati alle famiglie dei piccoli pazienti, sia con progetti come “Speak up”, che vede la presenza costante di due addetti all’accoglienza che ogni giorno, nelle corsie, intervistano le famiglie per coglierne i bisogni, i problemi e le esigenze.

Emanuela Tiozzo, della Struttura Sviluppo Professionale Infermieristico e Tecnico, Formazione Permanente e Ricerca Infermieristica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ha parlato di Assistenza al paziente e alla famiglia: Sapere, saper essere, saper fare… saper ascoltare, evidenziando il ruolo dell’infermiere, una professione basata sulla relazione; la relazione come base della narrazione deve neccesariamente essere basata sull’ascolto. I professionisti sanitari dovrebbero imparare a relazionarsi non solo con i pazienti, ma anche a farlo efficacemente tra di loro.

Maria Rosa Loria, Dirigente Ufficio Accoglienza, Tutela e Partecipazione dell’U.R.P Fondazione Policlinico Tor Vergata, si è concentrata sui cosiddetti Facilitatori di salute, spiegando come è stato possibile creare un ospedale più vicino ai pazienti, ponendo il concetto di umanizzazione come base per la nascita e lo sviluppo della struttura.

Per la terza sessione, intitolata Medicina narrativa come strumento per interpretare la soggettività del bisogno, ha preso la parola Chiara Mastroianni, Infermiera presidente Antea Formad, che nel suo intervento L’esperienza di un centro oncologico di eccellenza, ha offerto una testimonianza diretta sull’applicazione delle cure palliative; l’approccio di cura è basato sul dare valore alle persone e alla loro esistenza, con la relazione al centro del modello Antea, e le narrazioni come elementi fondamentali per dare senso al vissuto dei pazienti e per permettere loro la comprensione del quadro complessivo.

Nell’ultimo intervento, L’utilizzo della narrazione come cura, di Renata Puleo, responsabile della formazione dell’associazione “Avrò cura di te”, è stato affrontato l’argomento dell’analisi semantica delle storie dei pazienti e delle parole che ne sono emerse.

Alla conclusione dell’evento è stato evidenziato come ogni intervento ha avuto il merito di contribuire a far emergere il significato postmoderno del tradizionale bisogno di narrazione, e i diversi fenomeni in cui oggi è possibile rintracciarlo.